Officina Legionis
Laboratorio di forgiatura delle ghiande missile e didattica sui frombolieri
“Officina Legionis” è il nome del laboratorio di forgiatura dedicato alla riproduzione dei proiettili ritrovati nei siti d’alta quota valdostani – le ghiande missile – e alla scoperta del corpo ausiliario dei frombolieri. Ma cosa sono esattamente le ghiande-missile? E chi erano i frombolieri? Nomi antichi, dal suono misterioso, che risvegliano curiosità e immaginazione.
Per scoprirlo, mi lascio guidare fino al Teatro Romano, dove, nei giorni animati dall’evento “Veni, vidi Augusta”, prende vita un laboratorio didattico unico nel suo genere. Appena varcata la soglia del cortile, mi trovo immersa in un vero e proprio accampamento romano: tende, armature, utensili, e al centro — protagonista assoluto — un fabbro al lavoro nella sua bottega. L’aria è densa dell’odore del carbone e del suono ritmico del martello che batte sull’incudine.
Mi avvicino incuriosita. Tra la cenere e il fuoco, il giovane artigiano versa con mano sicura uno stagno fuso, incandescente, dentro piccoli stampi di pietra. La massa liquida brilla di un bianco dorato, scorre lenta e viva, poi si raffredda e prende forma. Pochi colpi di martello, un leggero raschiare, ed ecco apparire, dal grigio della fuliggine, un oggetto scintillante e ramificato. È così luminoso, così perfetto nella sua semplicità, che mi viene d’istinto allungare la mano per toccarlo. Non sono la sola: anche gli altri visitatori si accalcano, attratti dalla magia di qualcosa che nasce davanti ai loro occhi.
Il fabbro, con gesto esperto, recide le ramificazioni di metallo solidificato e mostra il risultato: piccole forme ovoidali, lisce, compatte — le ghiande-missile. Sono proiettili leggeri, che stanno comodamente in un palmo, pronti per essere lanciati con la frombola, un’arma semplice ma micidiale. Su ciascuna ghianda, mi spiega, venivano incise parole o simboli: indicazioni di appartenenza, invocazioni, oppure motti di scherno destinati al nemico. Piccoli messaggi di piombo lanciati con forza e determinazione.
Ma come si usavano? Non resta che seguire il giovane dimostratore, che ci invita in un’area allestita poco più in là. Lì ci mostra la frombola, una fettuccia di cuoio con due corde laterali, e comincia a spiegare con entusiasmo le varie tecniche di lancio: il movimento del corpo, la posizione delle gambe, le rotazioni di braccia e mani. Tutto è questione di equilibrio e di ritmo, di precisione e di forza.
Con un gesto fluido, la corda si tende, la ghianda parte e scompare quasi subito, perduta nell’aria. Lo scocco della frombola risuona come una frustata secca nel silenzio del tardo pomeriggio, e per un istante tutti tratteniamo il fiato. Il proiettile, ci dice, può raggiungere velocità straordinarie e volare fino a 400 metri di distanza: una potenza sorprendente per un’arma tanto essenziale.
Il fromboliere — così si chiamava il soldato incaricato del lancio — era un combattente rapido, preciso e letale. Addestrato fin da giovane, sapeva sfruttare la forza centrifuga della fionda per colpire con estrema efficacia. Un colpo ben assestato poteva persino sfondare un elmo o spezzare un osso. Eppure, nonostante la semplicità della sua arma, il fromboliere era un soldato d’élite, fondamentale nelle truppe ausiliarie romane, capace di seminare il panico nelle file nemiche ancor prima dello scontro corpo a corpo.
Osservando l’ultimo lancio, il bagliore del metallo ancora caldo, e le mani annerite del fabbro, penso a quanto queste piccole ghiande raccontino: la maestria tecnica, l’ingegno bellico, ma anche la quotidianità di uomini che vivevano in un mondo lontanissimo eppure per l’occasione riportato in vita. In “Officina Legionis” la storia non è solo narrata — è forgiata davanti ai nostri occhi.







